Il mentoring come training (e non solo)

Anche in Italia, il mentoring sta tornando di moda. La riscoperta di questa “tecnica” di formazione e di sviluppo delle Risorse Umane è dovuta anche alle recenti evoluzioni di fattori economici e sociali che hanno ampiamente mutato il mercato del lavoro. Nell’ultimo decennio, infatti, la forza lavoro si è andata sempre più modificando sotto i seguenti input:

  • Demografici: la sempre più libera circolazione del “capitale umano” ha portato, dove più e dove meno, all’integrazione nella forza lavoro di persone provenienti da culture differenti. Inoltre, in paesi maggiormente sviluppati, a fronte dell’affacciarsi nel mondo di lavoro dei millenials, si sta registrando un processo di “invecchiamento” della forza lavoro legato all’incremento dell’aspettativa di vita (con conseguente allungamento della vita lavorativa);
  • Tecnologici: il sempre più massiccio della tecnologia che ha automatizzato gran parte delle funzioni aziendali e continua ad influenzare la performance lavorativa, modificando continuamente il modo in cui il lavoratore si relaziona con la struttura dell’azienda;
  • Culturali: l’approccio al lavoro si è andato evolvendo. Il posto fisso, tanto ambito dai nostri genitori, ad oggi non è più un miraggio a cui ambire. I millenial preferiscono trovare opportunità lavorative che permetta loro di crescere, ottenere nuovi stimoli, vivere nuove esperienze. Ed è per questo che sono molto più propensi al cambiamento.

La spinta di questi fenomenti ha determinato una crescente difficoltà delle organizzazioni a selezionare e trattenere personale qualificato. Specie nelle aziende moderne, caratterizziate dall’appiattimento delle strutture organizzative, dove si registra una crescente difficoltà per i lavoratori ad individuare percorsi di crescita al loro interno. Quindi, se da un lato le aziende sono facilitate nel processo di selezione sfruttando un maggiore flessibilità del lavoro, dall’altro cresce sempre più la difficoltà di individuare risorse “fedeli” all’organizzazione e trattenere le loro competenze.

Sviluppare policy di retention della competenza (e non necessariamente della risorsa), di continuo rafforzamento della cultura aziendale, nonché di gestione di una forza lavoro sempre più “anziana” (così detto aging management) è divenuta una priorità.

Il mentoring può fornire risposte a tali necessità.

CHE COS’E’ IL MENTORING

Il mentoring, deriva da Mentore, personaggio mitologico, citato anche nell’Odissea. Ulisse, suo amico, prima di partire per la Guerra di Troia, gli affidò suo figlio Telemaco per curarne la crescita e la formazione in modo da farlo divenire un buon governatore.

Il mentoring, quindi, nella sua forma tradizionale, è una relazione che si instaura tra un soggetto con maggiore esperienza (mentor), ed un individuo con meno esperienza (il mentee, protégé o anche mentoree)

L’obiettivo di questa relazione è quello di far sviluppare al mentee una serie di competenze che gli verranno trasmesse ed insegnate dal mentor. In altre parole, trattasi di una metodologia di formazione incentrata su una relazione uno ad uno, la quale può configurarsi in modo più o meno formale. E può riguardare, ovviamente diversi ambiti: da quello sportivo a quello educativo, da quello può andare da quello personale a quello lavorativo.

I soggetti della relazione sono quindi due:

MENTOR = persona con elevata esperienza all’interno dell’organizzazione che si impegna a trasmettere al lavoratore di minore esperienza (mentee) non solo le proprie competenze e conoscenze ma anche, e soprattutto, valori, regole e cultura aziendali. Non solo. Il mentor dovrà essere la figura di supporto al mentee nel suo processo di apprendimento aiutandolo a comprendere meglio quali siano le sue aspirazioni, le sue skill,  i suoi punti di forza e di debolezza. In tal modo, il mentee, oltre ad essere progressivamente inserito nel contesto aziendale, prende consapevolezza delle sue “caratteristiche” professionali e riesce ad avere una visione più chiara di quale possa essere il suo percorso di carriera.  Un buon mentore dovrà quindi possedere le seguenti caratteristiche:

  1. Capacità relazionali: necessarie per creare un rapporto di sintonio e di reciproca fiducia con il mentee;
  2. Leadership: necessaria sia per far valere la propria autorità ma anche per divenire punto di riferimento per il mentee nel suo percorso di crescita. Ovviamente non dovrà trattarsi di una leadership autoritaria ma, bensì, di un leadership aperta all’ascolto, che porti a non imporre le proprie idee, e che condivida con il suo allievo i successi e fallimenti;
  3. Empatia: necessaria per potersi mettere anche in stato di ascolto per comprndere meglio le esigenze edi punti di vista del mentee (vedi punto precedente).

MENTEE: è la risorsa che si fa guidare e consigliare dal mentore nell’azione di apprendimento e di sviluppo. Oltre a seguirne gli insegnamenti, il mentee dovrà creare con il mentor una rapporto di fiducia e dialogo. Non vi sono caratteristiche specifiche che devono essere individuate nel mentee (è d’altronde una risorsa da “plasmare”). Trattasi, però, generalmente di risorsa giovane, eventualmente da poco arrivato in azienda, e ritenuto di elevato potenziale.

 

IL MENTORING IN AZIENDA: MENTORING INFORMALE E FORMALE

La relazione di mentorship, all’interno di un’azienda, si può sviluppare in maniera più o meno spontanea. In tutte le organizzazioni, infatti, si assiste spesso alla creazione di una relazione “naturale” tra vecchia e nuova guardia. Il mentoring informale si delinea tutte le volte che vi siano risorse con elevata esperienza tale per cui si creano delle relazioni con un numero limitato di lavoratori che vengono coinvolti in un processo di formazione non formalizzato. Un tale rapporto di mentorship, seppur abbia pur sempre degli aspetti positivi, potrebbe presentare dei limiti quali:

  • Gli obiettivi non vengono specificati;
  • I risultati non sono misurati;
  • L’accesso è limitato ad un numero ristretto di persone;
  • Mentor e mentee si autonidividuano sulla base di un’intesa personale;
  • L’organizzazione ne trae benefici indirettamente, ma il focus del rapporto è il mentee.

Più solitamente, quindi, l’abbinamento di mentor e mentee viene fatto da un soggetto esterno, (es. ufficio risorse umane o il responsabile del R&D, etc) il quale individua da un lato il possibile mentor in un individuo dotato di competenze e conoscenze approfondite sull’oggetto di business, e dall’altro il mentee in un soggetto di talento, con un particolare potenziale. Una tale strutturazione “formale” del mentoring permette di:

  • Definire obiettivi chiari tra azienda e mentoree fin dall’inizio;
  • I risultati potranno essere misurati;
  • L’accesso è aperto in quanto chiunque potrà avere i parametri per avviare il programma di mentoring (indipendentemente dalle intese individuali);
  • Mentor e mentee sono selezionati e abbinati in base alla loro compatibilità;
  • E’ previsto supporto e formazione nel processo di mentoring;
  • Organizzazione e lavoratore ne traggono benefici diretti e pianificati.

Una volta definita la struttura della relazione (cioè i due soggetti) l’azienda potrebbe pianificarne anche le modalità di sviluppoche possono essere basate su:

  • Incontri one to one: Che sono appuntamenti tra il mentoring ed il mentee, faccia a faccia.
  • Group mentoring: prevede l’individuazione di un gruppo il cui fine è quello dipromuovere lo sviluppi dei sui membri con l’assistenza di un mento;
  • Peer mentoring. Questo tipo di mentoring mette i due attori principali, il mentor (peer mentor, che ha vissuto una determinata esperienza) ed il mentee (peer menteee, il quale dovrà affrontare la nuova espereinza) sullo stesso piano ed i risultati scaturiscono dal rapporto equo tra i due, che si influenzano reciprocamente.
  • Mentoring misto. il percorso è un misto tra le prime due forme, ossia si stabiliscono sia incontri one to one che di gruppo.
  • Mentoring “a distanza”. in assenza della possibilità di un rapporto in presenza, è possibile mantenere una comunicazione on-line, quindi a distanza.
  • Blended mentoring. Un misto tra i vari tipi di mentoring aziendale, combinando quindi attività organizzate faccia a faccia e in e-learning.

L’azienda potrebbe definire anche le eventuali “tecniche”(accompagnare, seminare, canalizzare, etc), nonché “strumenti” (manuali, schede tecniche, formazione on the job, etc) da utilizzare nel processo di formazione. Tali dettagli, però, sono spesso lasciati alla libera iniziativa del mentor in base anche alle sue preferenze e al suo stile nell’approcciare la relazione.

LE TIPOLOGIE DI BUSINESS MENTOR

I mentor sono quindi delle persone da prendere a riferimenti in quanto altamente rispettati, come i maestri artigiani per gli aspiranti apprendisti. Trattasi di una figura da cui trarre ispirazione e saggezza, come un Capo scout per un lupetto o come il Maestro Yoda per gli Jedi. E, come già anticipato, può riguardare diverse sfere della nostra vita (personale, lavorativa, formativa, etc). All’interno del mondo lavorativo, il mentor può manifestarsi sotto diversi vesti. Tony Tjan, CEO di The Cue Ball, individua 5 diverse figure di business mentor:

  1. MAESTRO DI MESTIERI: figure di riferimento in determinati ambiti lavorativi. Sono considerati delle vere e proprie icone nel loro campo. Tendono ad essere rappresentanti della vecchia guardia inq quanto hanno conseguito il loro status soltanto dopo anni di pratica ed esperienza. Il maestro dei mestieri può insegnare la storia, i valori e le regole di una determinata comunità/organizzazione. Inoltre condivide le proprie conoscenze permettendo di sviluppare le skill necessarie per la professione ai propri mentee.
  2. SOSTENITORE DELLA VOSTRA CAUSA: uno esperto delle relazioni interpersonali, Keith Ferrazzi, afferma che ciascuno di noi ha bisogno di “who’s got your back”. In altre parole, una spalla su cui contare. Ciascuno di noi, quindi, dovrebbe assicurarsi di avere all’interno dell’organizzazione qualcuno che peronerà la propria. Di solito tale tipologia di mentor si identifica in un superiore o comunque qualcuno che possa aiutare la tua causa, anche semplicemente con un sostegno morale o favorendo il tuo network.
  3. CO-PILOTA DI COLLEGHI: non tutti i mentor sono superiori o risorse con uno status più elevato. A volte può essere molto utile avere un compagno, un collega, appunto un co-pilota che ti aiuti in determinate situazioni. Questo tipo di relazione si può sviluppare, ad esempio, quando il collega aiuta il neo assunto ad individuare dove andare a pranzo, mostrandogli come funziona l’ufficio tecnico, o introducendolo agli altri. Un co-pilota è quindi un pari mentore con cui condividere l’ambiente di lavoro e le attività assegnate. Una risorsa con cui aprirsi più facilmente e con cui condividere un reciproco supporto. Probabilmente dal punto di vista “strategico” ha un peso minore rispetto ad un mentor di livello superiore. Ma è atlrettanto vero, però, che quando si ha un co-pilota, sia la qualità del lavoro che il coinvolgimento migliorano. E la ragione è semplice: che vuole veramente lavorare da solo?
  4. ANCORA: Chi ti può aiutare quando hai bisogno di un confidente o di un aiuto psicologico per guidarti attraversi una difficile situazione? Le ancore sono preziosi mentori che si manifestano ogni qualvolta hai bisogno di loro. Non sono quindi mentor che ti aiutano quotidianamente a perfezionare le tue abilità, ma si manifestano non appena è necessario un parere obiettivo o un supporto. Ciascuno di noi, infatti, ha bisogno di persone con cui potersi consultare sul fatto che stiamo facendo la cosa migliore o che possa fornirci suggerimenti su come possiamo crescere e migliorare.
  5. REVERSE MENTOR: Per il 2020, i millenial (cioè quelli nati tra 1980 e 2000) rappresenteranno il 50% o più della forza lavoro. Nelle aziende, che investono sempre più in tecnologia, si troveranno quindi a convivere risorse storiche e con un elevato status all’interno dell’organizzazione e queste nuove risorse altamente tecnologizzati e con un livello di istruzione superiore. Il processo di Reverse mentorship, dove i “giovani” insegnano agli “anziani” non è solo un “ringiovanire” dal punto di vista tecnologico. Per i leader, il reverse mentoring è un’opportunità. Potranno infatti raccogliere feedback sinceri sul coinvolgimento e lo stile di leadership da adottare. D’altro canto, i millenial che vedranno che l’organizzazione tiene in considerazione le proprie opinioni, diverranno più propositivi e aperti nell’apprendimento. Questo mix di equa apertura sia verso le fresche prospettive dei giovani che per le più anziane conoscenze ed esperienze favoriranno un ambiente lavorativo più flessibile, collaborativo e preformante.

MENTORING vs COACHING

Il mentoring, in qualità di tecnica di formazione, non è però da confondere con il coaching. Un mentore può essere un coach, ma non viceversa. Infatti, il mentoring è un rapporto “relazionale”, mentre il coahing è “funzionale”. Andando infatti a confronate le principali caratteristiche di entrambe le motedologia si può evidenziare che:

  • Coaching:
    • Il coach insegna a tutti i membri del suo staff, come richiesto dalla sua posizione;
    • Il coaching ha luogo entro i delineati dconfini formali che sistono tra impiegato e manager;
    • Si focalizza nello sviluppo degli individui nel lavoro assegnato in quel mmomento;
    • L’interesse è funzionale, miradno al bisogno di assicurare che il lavoratore possa perfomare nelle mansioni assegnate nel miglior modo possibile in base alle loro capacità;
    • La relazione tende ad essere iniziata e guidata dal manager
    • Il repporto termina quando il lavoratore viene assegnato altra mansione;
  • Mentoring
    • il mentoring si sivluppa al di fuori del rapporto menager – lavoratore e encessita del mutuo consenso dei due soggetti coinvolti nel rapporto;
    • è focalizzato sullo sviluppo professionale della risorsa e non limitatamente ad una determinata mansione;
    • la relationtship è personale: un mentor fornisce un supporto sia professionale che personale del mentee
    • il rapporto va quindi oltre i confini del lavoro;
    • la relazione può terminare dal punto di vista formale dopo un determinato periodo (9 – 12 mesi), ma le parti possono continuare la relazione di mentoring in maniera informale

 

I VANTAGGI DEL MENTORING

Ma quali sono I benefici del mentoring? Tutti e 3 i soggetti coinvolti in un progetto di mentoring traggono benefici da tale rapporto. Un programma ben definito e realizzato può comportare i seguenti benefici:

  1. MENTEE: ovviamente è la risorsa che trae maggiori vantaggi dal processo di mentoring, essendo un processo finalizzato principalmente alla sua formazione e al suo sviluppo. Quindi il mentee potrà contare sui seguenti benefici:
    1. Innanzitutto apprendere dagli insegnamenti del mentor che gli trasmette tutta la sua expertise;
    2. Ricevere feedback sia positiv (che eventualmente lo incoraggiano) che negativ (che lo sproneranno a migliorare) in aree chiavi quali comunicazione, relazione interpersonale, abilità tecniche, gestione del cambiamento e leadership;
    3. Focalizzare l’attenzione su che cosa sia necessario per crescere professionalmente all’interno dell’azienda;
    4. Sviluppare skill specifiche e incrementare il propri livello di conoscenza che sono rilevanti per il ragigungimento di di obiettivi personali;
    5. Creare un network con risorse ritenute valide, e quindi anche influenti, all’interno dell’organizzazione;
    6. Conoscere la cultura aziendale e le regole non scritte possono essere determinanti per ottenere il successo. Inoltre, la loro conoscenza permetteranno un più facile e veloce adattamento del lavoratore alla cultura aziendale;
    7. Avere una spalla con cui conividere delusioni e successi (non poi così scontato all’interno di qualsiasi organizzazione).
  2. ORGANIZZAZIONE: se ben strutturato e ben pilotato, anche l’organizzazione potrà massimizzare i benefici nel mentoring quali:
    1. Rafforzare le inizative strategiche di busness;
    2. Incoraggiare la retention delle risorse con alto potenziale;
    3. Ridurre i costi del turnover (es. selezione);
    4. Incrementare la produttività attraverso la motivazione di entrambi i soggetti coinvolti nel mentoring;
    5. Interrompere la mentalità compartimentale/funzionale che spesso impedisce una sana collaborazione tra i dipartimenti/divisionei dell’azienda;
    6. Elevare il trasferimento della conoscenza dal semplice passaggio di informazione alla condivisione di esperienze pratiche e di “saggezza lavorativa” maturate negli anni dai lavoratori;
    7. Rafforzare lo sviluppo professionale;
    8. Collegare i lavoratori favorendo il flusso delle informazioni che potrebbero essere necessarie anche in altre aree;
    9. Poter contare su il know-how dei propri lavoratori, considerandoli esperti interni all’organizzazione, anziché ricorrere a conulenti esterni;
    10. Supportare la creazione di una più variegata forza lavoro creando relzioni tra diverse “tipologie” di lavoratori con differenti caratteristiche culturali e anagrafiche.
  3. MENTOR: seppure sia la figura che deve “formare, anche lui riceverà dal suo mentoree spunti, approfindimenti o visioni differenti che potranno farlo crescere sia dal punto di vista professionale che personale. Quindi, anche lui potrà beneficiare di vantaggi quali:
    1. Veder rivitalizzata la sua carriera, sia come mentore ma non solo;
    2. Poter avere punti di vista differenti (quello del mentee) con cui confrontarsi;
    3. accrescere le proprie competenze (es. Reverse mentor);
    4. Ottenere gratificazione e soddisfazione nel condividere la sua esperienza con altri;
    5. Avere un “alleato” in più nel promuovere il benessere dell’azienda;
    6. Imparare cose nuove riguardo ad aspetti relativi ad altre aree aziendali.

 

CONCLUSIONI

Il mentoring, al pari di altri strumenti (es. coaching) costituisce un interessante strumento di formazione. Ma il suo scopo va oltre. Esso, infatti, non si limita ad ampliare le conoscenze del mentee, ma ne permette anche la sua integrazione (e crescita) all’interno della cultura e dell’organizzazione.

Il mentoring diventa così anche un interessante strumento di organizzazione aziendale e di gestione delle risorse umane, garantendo un rafforzamento della cultura aziendale, l’individuazione di figure di back-up di risorse chiave, un miglior collegamento tra le varie funzioni aziendali, una miglior condivisione delle informazioni, l’incremento delle motivazioni (e quindi anche della performance) delle risorse, etc.

Quindi mentoring può divenire sinonimo di crescita sia del mentee che dell’azienda.

Tuttavia il mentoring non esaurisce qui le proprie potenzialità. Nel concludere vale infatti la pena soffermarsi, anche su come il mentoring possa divenire un interessante strumento per la gestione del processo di “invecchiamento” della forza lavoro.

In base allo studio del 2015 effettuato dall’Osservatorio Randstad sull’active ageing (coordinato dal professor Tiziano Treu) le aziende sono sempre più sensibili al trend di invecchiamento della propria forza lavoro. Nel 2033, in base a tale studio, 1/3 della forza lavoro sarà “over 50”. Aziende quali Philips, Bosch, Axa ed altre hanno già avviato policy per la gestione del fenomeno, tra cui anche il mentoring.

Infatti, se rivolto in modo specifico a lavoratori “senior” il mentoring può avere una doppia valenza. L’obiettivo, in questo caso, è si quello di abbinare talenti (spesso under 30), con una persona senior, dotata di esperienza consolidata, per favorire un processo di knowledge sharing ma anche per individuare un nuovo ruolo per la persona senior che si sentirà gratificata, generando in questo modo un maggior coinvolgimento e livelli di motivazione al lavoro più elevati.

 

print