Decreto dignità: guida per l’uso

La parola d’ordine è attendere! A circa due settimane dall’approvazione del Decreto Dignità rimangono ancora in piedi molti dubbi interpretativi che suggeriscono agli addetti ai lavori di aspettare l’iter parlamentare di conversione.

Certo è che ad una prima lettura le perplessità sull’intervento del legislatore sono tante, e non solo in termini di contenuti.

In primis sullo strumento normativo utilizzato, cioè un decreto legge immediatamente esecutivo. Anche in passato si era fatto ricorso a tale strumento ma con l’accortezza di rinviarne l’efficacia all’entrata in vigore dell’atto normativo di conversione. Ora, invece ci si trova in una situazione quasi paradossale: dover applicare fin da subito una normativa che suscita molti dubbi interpretativi ed i cui contenuti rischierebbero di essere modificati, o addirittura non confermati, in fase di conversione.

La seconda perplessità nasce invece sulla tipologia di intervento. Il legislatore ha infatti deciso di andare modificare alcuni commi dei Capi III e IV del Jobs Act. Rimane quindi in piedi la struttura del D.Lgs 81/2015 compresa l’abolizione dell’art. 18 e la previsione tutele crescenti. Inoltre, così facendo, il legislatore è andata ad impiantare su tale norma che aveva lo spirito di incrementare la flessibilità nel mercato del lavoro, previsioni che vanno in tutt’altra direzione creando lacune (es. si sono reintrodotte le causali ma non le conseguenze di loro eventuale assenza/inconsistenza cancellate dal Jobs Act) e contraddizioni (es. l’applicazione dello stop&go alla somministrazione, strumento di flessibilità per eccellenza) normative.

Perplessità o no, fatto sta che il Decreto Dignità è già entrato in vigore. E’ necessario quindi fare riflessioni, anche operative,  sui  suoi contenuti, ribadendo che, laddove sia possibile, sarà preferibile attendere la conclusione dell’iter di conversione.

Proviamo quindi a fornire risposte ad alcuni quesiti sollevati in questi giorni.

 

1 . La nuova normativa si applica anche ai contratti in corso?

Si, la normativa si applica sia per i contratti che si andranno a stipulare da qui in avanti ma anche a quelli in corso al momento di entrata in vigore del Decreto (14 luglio 2018).

 

2. Si può prorogare o rinnovare lavoratore (sia somministrato che CTD) con collaborazione di 12 mesi?

Si, purché si rispetti il limite dei 24 mesi e venga individuata una causale. Da ricordare però che, qualora non si sia raggiunto il limite dei 12 mesi, vi è un’importante differenza fra le due decisioni:

  • la proroga richiede la causale solo dopo i primi 12 mesi;
  • il rinnovo richiede sempre la causale nonché il rispetto dello stop&go.

Quindi, se il rapporto in corso è inferiore ai 12 mesi è sempre preferibile fare una proroga (rispettando pur sempre tale limite). Oltre i 12 mesi è invece indifferente: sia per il rinnovo che per la proroga sarà sempre necessaria l’individuazione di una causale. Ad oggi, però, per come sono state defnite, le causali sembrano inutilizzabili (vedi punto 3.). L’unica eccezione è la sostituzione per dipendenti di carattere sostitutivo (anche per ferie e per lavoratori multipli).

 

3. Quali tipologie di causali possono essere utilizzate?

E’ forse il quesito che solleva le maggiori perplessità. Il legislatore sembra infatti aver effettuato una sommatoria delle sentenze che si sono susseguite negli anni della giurisprudenza in merito ai contratti a termine, ma decontestualizzandone dal caso specifico. Il risultato è l’aver ottenuto due definizioni Quelle contenute nelle lettere a e b del comma 1-bis dell’art. 21 del D.lgs 81/2015)  che lasciano ben poche possibilità di applicazione. Ad oggi, quindi, l’unica effettiva causale che si può utilizzare è quella sostitutiva. Da evitare qualsiasi altra causale di ragione tecnico organizzativo in quanto richiami a necessità “estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro” (lettera a) o “non programmabili” (lettera b) possono costituire oggetto delle più diversificate interpretazioni.

Sarà quindi importante sfruttare, laddove sia possibile, le forme acausali. Da qui scaturiscono le successive domande 4 e 5.

 

4. Si può stoppare lavoratore in somministrazione (o viceversa, in CTD) che conta 12 mesi di collaborazione per poi riassumerlo con CTD “acausale” (o viceversa, in somministrazione)? E per quanto tempo?

Effettivamente, dal punto di vista formale, lo stop di un collaboratore in somministrazione che conta 12 mesi e poi è riassunto con un contratto diretto non costituirebbe rinnovo  e, quindi, essendo modificato il datore di lavoro (prima agenzia e poi azienda) si potrebbe ragionevolmente pensare che l’assunzione possa avvenire anche senza causale. Tuttavia sarebbe opportuno seguire le seguenti accortezze:

  • Effettuare un periodo di stop&go (di 10 o 20 giorni a seconda della durata della collaborazione) visto che ora tale disciplina viene applicata anche alla somministrazione;
  • Fare prima somministrazione e poi CTD (e non viceversa). Avere un dipendente prima in somministrazione e solo dopo assumerlo in CTD ci può stare, anche al solo fine di conoscere meglio il lavoratore. Veiceversa, prima CTD e poi somministrazione, non avrebbe nessun’altra ratio se non quella di eludere la norma e quindi più rischioso

5. Posso assumere un somministrato che conta una collaborazione di 12 mesi acausali con l’Agenzia X con un’altra Agenzia Y?

In teoria si, visto che nel caso della somministrazione il datore di lavoro è l’Agenzia e modificando quest’ultima si modificherebbe anche il rapporto e non si tratterebbe quindi di rinnovo. E’ altrettnato vero però che l’azienda utilizzatrice conosce il lavoratore che prima proveniva da Agenzia X e poi da Agenzia Y e ci sarbbe quindi il rischio che si possa intravedere un comportamento in frode alla legge. Che cosa comporterebbe però questo comportamento in frode alla legge, in realtà non è dato a sapere. Infatti l’art 38 del D.LGs 81/2015 che prevede le conseguenze dell’utilizzo di Somministrazione irregolare non è stato modificato e non prevede casi aggiuntivi (e relative sanzioni) di infrazioni alla normativa sulla somministrazione. Nel dubbio è comunque preferibile evitare.

 

6. Nel conteggio dei limiti dei 24 mesi, devo tener conto anche del periodo di collaborazione pregresso all’entrata in vigore del Decreto? Anche in caso di somministrazione?

Tutti periodi antecedenti, anche quelli pregressi all’entrata in vigore del Decreto, devono essere considerati per il raggiungimento del limite dei 24 mesi.  Quindi, quando si effettuano valutazioni se continuare o meno un determinato rapporto, si devono conteggiare tutti i periodi pregressi sia che essi siano stati sottoforma di smmonistrazione o di colaborazione diretta.

Questo anche in caso in cui il dipendente è stato sempre in somministrazione e si voglia continuare con questa tipologia contrattuale. Infatti, se prima non vi era alcun limite alla somministrazione se non quella che il singolo rapporto non poteva superare i 36 mesi, ora con l’estensione della disciplina dei contratti a termine anche per il lavoro somministrato si deve tener conto di tale limite massimo.

 

7. Quante proroghe di lavoro a tempo determinato posso effettuare? E quante per la somministrazione? Contano anche proroghe pregresse?

Il termine apposto ad un contratto a termine diretto può essere prorogato per un massimo di quattro volte nell’arco di ventiquattro mesi a prescindere dal numero dei contratti. Nel limite dei 12 mesi il contratto potrà essere prorogato senza apporre alcuna causale. Superato tale limite la proroga necessiterà dell’apposizione di una causa.

Per la somministrazione la questione è un po’ più complicata. Da un lato il legislatore nella prima parte del comma 2 dell’art. 34 rinvia la disciplina del contratto di lavoro somministrato a termine alla disciplina contenuta nel Capo III. Dall’altro lato, però lascia in piedi il secondo periodo dello stesso comma che prevede che “il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore”. Sembrerebbe quindi ancora valida la disposizione contenuta nell’art. 47 del CCNL applicabile all’Agenzie di somministrazione che prevede che “il singolo contratto di lavoro può essere prorogato fino ad un massimo di 6 volte”. Il tutto, però, nel rispetto dei 24 mesi (e non più 36).

Sicuramente ci saranno tanti altri quesiti che sono sorti in questi giorni. Noi ci fermiamo a questi sette, ritenuti i più interessanti dal punto di vista operativo.

Se ve ne vengono in mente altri, noi siamo qui.

 

 

 

 

 

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