La parola d’ordine è attendere! A circa due settimane dall’approvazione del Decreto Dignità rimangono ancora in piedi molti dubbi interpretativi che suggeriscono agli addetti ai lavori di aspettare l’iter parlamentare di conversione.
Certo è che ad una prima lettura le perplessità sull’intervento del legislatore sono tante, e non solo in termini di contenuti.
In primis sullo strumento normativo utilizzato, cioè un decreto legge immediatamente esecutivo. Anche in passato si era fatto ricorso a tale strumento ma con l’accortezza di rinviarne l’efficacia all’entrata in vigore dell’atto normativo di conversione. Ora, invece ci si trova in una situazione quasi paradossale: dover applicare fin da subito una normativa che suscita molti dubbi interpretativi ed i cui contenuti rischierebbero di essere modificati, o addirittura non confermati, in fase di conversione.
La seconda perplessità nasce invece sulla tipologia di intervento. Il legislatore ha infatti deciso di andare modificare alcuni commi dei Capi III e IV del Jobs Act. Rimane quindi in piedi la struttura del D.Lgs 81/2015 compresa l’abolizione dell’art. 18 e la previsione tutele crescenti. Inoltre, così facendo, il legislatore è andata ad impiantare su tale norma che aveva lo spirito di incrementare la flessibilità nel mercato del lavoro, previsioni che vanno in tutt’altra direzione creando lacune (es. si sono reintrodotte le causali ma non le conseguenze di loro eventuale assenza/inconsistenza cancellate dal Jobs Act) e contraddizioni (es. l’applicazione dello stop&go alla somministrazione, strumento di flessibilità per eccellenza) normative.
Perplessità o no, fatto sta che il Decreto Dignità è già entrato in vigore. E’ necessario quindi fare riflessioni, anche operative, sui suoi contenuti, ribadendo che, laddove sia possibile, sarà preferibile attendere la conclusione dell’iter di conversione.
Proviamo quindi a fornire risposte ad alcuni quesiti sollevati in questi giorni.
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