Il lavoro di gruppo tra vantaggi e rischi

Il gruppo è divenuto elemento base delle organizzazioni moderne. I gruppi ricercano, comunicano e condividono una mole di informazioni ed idee che difficilmente sono gestibili da un singolo individuo. Ma il team è capace di prendere decisioni? Le scelte fatte dai gruppi sono delle “buone scelte”? E le scelte compiute da un gruppo sono migliori o peggiori delle scelte effettuate da un singolo individuo?

E’ difficile fornire risposte definitive a tali quesiti. I due differenti processi decisionali (quello individuale e quello di gruppo) hanno logiche differenti e  si sviluppano con modalità difficilmente sovrapponibili. Di sicuro, il gruppo può contare su elementi favorevoli non disponibili nelle scelte fatte dal singolo individuo. A fronte di tali vantaggi, però, il lavoro di gruppo nasconde insidie e pericoli (nonché “costi”) che possono vanificare il valore aggiunto di lavorare insieme. Di seguito andremo ad analizzare questi due aspetti (vantaggi e svantaggi) nonché cercare di fornire alcuni accorgimenti per evitare i rischi del lavoro di gruppo.


I VANTAGGI DEL LAVORO DI GRUPPO

I vantaggi derivanti dal lavoro di gruppo si possono suddividere in due macro-aree: quelli di carattere cognitivo e quelli di carattere motivazionale:

I primi sono legati ad aspetti quali:

  1. Maggiore afflusso di informazioni: il gruppo può disporre di un notevole bagaglio di esperienze e conoscenze portate da ciascun componente tale da arricchire le informazioni disponibili per prendere una decisione. Sarà quindi necessario richiedere da ciascun partecipante la più ampia e completa partecipazione in modo che le informazioni “private” diventino “pubbliche” (cosa non sempre poi così scontata);
  2. Molteplicità delle prospettive: ogni membro ha una visione del problema propria e differente dagli altri. Tale diversità costituisce una ricchezza per il gruppo;
  3. Migliore comprensione del problema: differenti prospettive e differenti conoscenze permettono di affrontare il problema in maggiore profondità;
  4. Riduzione delle distorsioni e delle ambiguità: il confronto permette di ridurre le distorsioni cognitive inidviduali (framing) e di sciogliere le ambiguità del problema. Dunque, occorre uno sforzo di elaborazione, confronto e discussione non solo su opinioni e giudizi, ma anche sui  ragionamenti che portano ad essi

I vantaggi motivazionali sono invece più dei vantaggi di riflesso del lavoro di gruppo e determinati da:

  1. Maggiore accettazione: quando il gruppo prende decisioni dovrà poi realizzarla. La partecipazione attiva al processo decisionale genera maggior impegno nel realizzarla. In altre parole il partecipante fa proprio il commitement del gruppo;
  2. Maggiore entusiasmo e morale: essere coinvolti in un lavoro di gruppo che deve prendere una decisione conferma la fiducia e la stima che l’organizzazione nutre nei propri confronti. Il risultato di tale coinvolgimento sarà quello di motivare ciascun singolo partecipante che farà appunto propria la decisione del gruppo.

 

ETEROGENEITA’: UN VALORE DA DIFENDERE

Affinché si possano massimizzare i benefici del lavoro di gruppo sarà fondamentale la scelta della sua composizione. In tale prospettiva emerge l’importanza del concetto di eterogeneità. Questa può delinearsi sulla base di diversi parametri.

Il primo è a seguito di un processo di categorizzazione (o meglio, di “auto-categorizzazione”) dove ciascun singolo individuo tende a definirsi, e ad essere definito, in termini di status (sociale, organizzativo, etc) o di appartenenza a cliques di vario genere. Una siffatta composizione eterogenea del gruppo può implicare possibile effetti negativi della eterogeneità in quanto  le persone preferiscono interagire con propri simili (social validation).

Un secondo criterio per creare un gruppo eterogeneo potrebbe essere quallo basato su come caratteristiche demografiche (Es. genere, età, professione, etc). Anche qui si potrbbero registrare effetti negativi dovuti alla riduzione del senso di identità e appartenenza al gruppo, che si traduce in minore impegno, più assenteismo e turnover, e minori comportamenti di «cittadinanza» organizzativa.

Un altro modo per creare eterogeneità del gruppo potrebbe invece essere quello basato sulla varietà cognitiva. Una siffatta modulazione, invece, potrebbe avere un impatto positivo perché il gruppo accede a più informazioni ed è in grado di ridurre le distorsioni cognitive individuali. E tale positività della composizione del gruppo si ha anche quando in piccoli gruppi vi siano gradi differenti di abilità rispetto al problema specifico. Infatti, anche in tale casi, si crea un duplice meccanismo virtuoso: da  un lato il doversi porre come “insegnanti” da parte dei più abili o dei più esperti innesca un processo di auto-riflessione e approfondimento che aiuta la qualità del loro giudizio; dall’altro lato, invece, il punto di vista diverso di un “non esperto” può aiutare l’esperto a sfidare le proprie convinzioni e a evitare la trappola dell’overconfidence.

Ma perché mai creare un gruppo di lavoro eterogeneo è così importante? Lavorare in gruppo eterogeneo  può implicare  vantaggi sotto diversi aspetti quali:

  1. l’accesso alle informazioni: come visto in precedenza, la eterogeneità nei gruppi aumenta la quantità di informazione. Tuttavia, non basta il possesso di informazione unica (diversa da quella portata da altri), occorre anche considerare la volontà di condividerla. Da qui emerge un secondo quesito: la eterogeneità influenza la propensione alla condivisione? In generale, gli individui sono meno propensi a condividere info con soggetti meno simili a sé. Ma molto dipende anche dal vantaggio che ogni individuo percepisce di poter ricavare (per es. in termini di status) dall’appartenenza al gruppo: coloro che hanno da guadagnare (o che credono di guadagnare) tendono a condividere di più (e viceversa).  Ricerche mostrano che ci può essere un elevato grado di condivisione di informazioni anche nei gruppi eterogenei quando:
    1. le categorie percepite diventano meno salienti per i soggetti (per esempio quando l’identità di gruppo prevale sull’identità di categoria);
    2. i membri sono maggiormente abituati al pensiero critico e a un mindset controfattuale;
    3. il problema che il gruppo affronta è “framed” (contestualizzato, descritto, percepito) in modo tale per cui si pensa che abbia una soluzione definita, e che non sia solo una questione di opinioni; nel primo caso i soggetti sono più propensi a ricercare e condividere informazioni critiche piuttosto che il consenso.
  2. il processo delle informazioni (Information processing): vi sostanzialmente 3 fattori che possono inluenzare il modo in cui il gruppo processa informazioni e che sono a loro volta influenzate dal livello di eterogeneità del gruppo:
    1. il livello di attenzione posta dai soggetti sulle informazioni provenienti da varie fonti: gli individui tendono a prestare più attenzione ai soggetti simili a sé dunque, gruppi eterogenei possono ridurre l’attenzione posta dagli individui alle informazioni disponibili

    2. il livello di coesione del gruppo: Mullen (1994) rileva come la coesione sia un aspetto dannoso quando sigifica “attrazione interpersonale”. Diviene invece elemento positivo quando si tramuta in “task commitment“. Ma da cosa deriva la coesione di un gruppo? In base alla Social Identity Theory (Henry Tajfel, 1971) la coesione può essere alta anche quando i membri sono dissimili per categorie. In particolare, quando soggetti a basso status si identificano in gruppi dominati da soggetti ad alto status (non è vero l’inverso). Quindi, anche se in generale gruppi eterogenei tendono ad essere meno coesi, gruppi dominati da soggetti ad alto status tendono a possedere un più elevato livello di coesione, correndo però il rischio del groupthink;

    3. le tattiche di influenza usate dalla maggioranza e dalla minoranza (esplicite o implicite) presenti nel gruppo. In generale le maggioranze  tendono a cercare di influenzare gli altri (specie se vi è pressione esterna) sulla base del social validation con il rischio di portare a conflitti interpersonali, visto che il meccanismo di influenza è di tipo sociale. Tale meccanismo è dannoso per la capacità di critica del gruppo. Viceversa, le minoranze tendono a cercare influenza in relazione al task. Il che genera conflitto cognitivo (e non relazionale) aumentando la capacità critica del gruppo.

  3. la motivazione e l’impegno dei partecipanti: tali fattori sono fortemente influenzati dal grado di identificazione delle persone con il gruppo. Le persone a basso status, in un gruppo dominato da persone ad alto status, si riconoscono maggiormente nel gruppo e, dunque, il loro livello di “commitment” aumenta. Non è vero invece l’inverso.  In ogni caso un maggior grado di inclusione e partecipazione aumenta il committement (teoria del goal-setting).

In sintesi, l’eterogeneità produce effetti positivi sull’efficacia del lavoro di gruppo. Non va però dimentciato che vi sono molte che possono ridurre, o addirittura invertire questo vantaggio.

 

RISCHI E SVANTAGGI DEL LAVORO DI GRUPPO

Se hai uno yes-man che lavora per te, uno di voi due è superfluo“. Questo dovrebbe essere la riflessione che dovrebbe avere ciascun responsabile nin cui decide di intraprendere un lavoro di gruppo. Infatti, se è vero che il processo decisionale portato avanti da un team può determinare un’analisi più approfondita del tema nonché una maggiore motivazione dei partecipanti, d’altro canto si deve tener presente il suo maggior costo in termini di energie e tempo. Non solo! Lavorare in gruppo può nascondere insidie e pericoli che possono azzerare i benefici del lavorare in team, se non addirittura tramutarsi in svantaggi. Tali rischi possono essere così di seguito riassunti:

  • disaccordo: lavorare in team può stimolare nuove idee ma l’organizzazione deve essere consapevole che possono sorgere contrasti tra i singoli partecipanti;
  • maggior lentezza: se è vero che generalmente il lavoro di gruppo porta a prendere decisioni di miglior qualità, è altrettanto indubbio che il processo decisionale sia più complesso (ad esempio a causa dei disaccordi o delle diverse prospettive) e quindi più lento;
  • egemonie e coalizioni: se qualche membro mira a prevalere personalmente anziché ricercare la scelta migliore, si rischierà di vanificare il lavoro di gruppo;
  • deresponsabilizzazione: se nel gruppo c’è scarso impegno e partecipazione, nessun membro si assume responsabilità di quanto deciso collettivamente (suddivisione della responsabilità in maniera anonima) generando disinteresse e disaffezione;
  • social loafing (o pigrizia sociale): le persone, quando lavorano in un gruppo, esercitano uno sforzo minore per raggiungere un obiettivo rispetto a quando lavorano da sole (Max Ringelmann, 1913 – esempio della fune);
  • normalizzazione: il gruppo tende a far confluire i propri giurdizi su posizioni “intermedie” rispetto alle posizioni individuali di partenza (vedi esperimento Sherif) . Ciò è dovuto a scarsa fiducia nelle proprie competenze (influenza informativa) o dal desiderio di accettazione nel gruppo che spinge a confermarsi al comportamento comune (influenza normativa);
  • polarizzazione: le decisioni prese dal gruppo risultano essere più estreme rispetto a quelle individuali (es. se la valutazione media iniziale era la cautela, la decisione di gruppo risultava ancor più prudente). Ciò avviene perché gli individui tendono a usare il confronto sociale per (ri)definire le proprie posizioni sia in termini di identità individuale sia in termini di ancoraggio, specie per individui incerti. Altre volte, invece, la polarizzazione è dovuta ad altri fenomeni quali la maggiore influenza di coloro che parlano per primi (o di più) o di coloro che hanno uno status più elevato;
  • gruppo-pensiero o groupthinking,  se il bisogno di coesione e consenso è talmente elevato da prevalere sul desiderio di prendere decisioni valide, il gruppo può essere indotto a prendere decisioni errate ed irrazionali (vedi poi).

 

COME EVITARE I RISCHI DEL LAVORO DI GRUPPO

E’ possibile eliminare i rischi (e relative effetti negativi) che si corrono quando si lavora in gruppo per massimizzarne i vantaggi? Una vera e propria ricotta non esiste. Esistono però tutta una serie di accorgimenti e tecniche che possono se non altro ridurre tali rischi.

Individuare e formare un leader, conoscere come gestire le riunioni, applicare tecniche per incentivare creatività e negoziazione nonché implementare attività che possano favorire il problem solving e la creazione del gruppo sono finalizzate appunto a far si che il gruppo possa lavorare nelle migliori condizioni e massimizzare la sua efficacia in termini di qualità delle decisioni.

Rinviando a eventuali futuri articoli per l’analisi di alcuni degli argomenti sopracitati, di seguito approfondiamo il fenomento del Groupthink e l’importanza del leader nel processo di lavoro di gruppo.

 

IL GROUPTHINK

Il gruppo-pensiero o groupthinking, così battezzato da Irving Janis nel 1972, “…si riferisce a un modo di pensare e decidere che le persone mettono in atto quando sono profondamente coinvolte in un gruppo coeso, quando la ricerca di unanimità da parte dei membri supera la loro motivazione a valutare realisticamente le opzioni di decisione alternative … Il Groupthink si riferisce a un deterioramento dell’efficienza mentale, della valutazione della realtà e del giudizio morale che risulta da pressioni intra-gruppo”. In altre parole, se il bisogno di coesione e consenso è talmente elevato da prevalere sul desiderio di prendere decisioni valide, il gruppo può essere indotto a prendere decisioni errate ed irrazionali. Tale riscio è particolarmente elevato per gruppi molto coesi, isolati da influenze esterne, guidati da leader direttivi e basati su procedure di lavoro consuetudinarie e poco flessibili. I sintomi di un gruppo “affetto” da groupthinking possono essere:

  • illusione di invulnerabilità: coesione così alta che il gruppo si crede invincibile impedendogli di valutare le possibili conseguenze disastrose della propria decisione;
  • convinzione di moralità: tutti i membri sono convinti dell’integrità del gruppo (tutti si percepiscono come onesti e retti) e delle sue decisioni;
  • razionalizzazioni comuni: il gruppo respinge qualsiasi informazione in contrasto con la scelta collettiva;
  • condivisione streotipi negativi: i partecipanti condividono un background ideologico e sociale che li porta a trascurare o minimizzare rischi della decisione;
  • autocensura: membri evitano ogni forma di disapprovazione e non esprimono obiezioni o perplessità sulla decisione (es. soggetti che autonomamente si ergono a filtri per proteggere il gruppo da informazioni che potrebbero minare il consenso, oppure soggetti che cercano validazione sociale) ;
  • illusione unanimità: vista l’assenza di obiezioni si pensa che decisione sia presa all’unanimità;
  • pressione al conformismo: se una persona obietta il gruppo esercita pressione;
  • Presenza dei “Guardiani del pensiero (Mindguards): alcuni membri hanno l’espresso compito di proteggere il gruppo da informazioni e influenze esterne negative

Le conseguenze del goupthinking possono essere molto dannose: le discussioni sono limitate a poche alternative decisionali; l’alternativa preferita dalla maggioranza non è esaminata criticamente in relazione a rischi non ovvi; le alternative inizialmente scartate non vengono più riesaminate; limitati ed insufficienti tentativi di ottenere informazioni da soggetti ed esperti esterni privi di interessi specifici sull’oggetto della decisione; insufficienti se non inesistenti) piani di contingenza; etc.

Groupthink

 

Un esempio di letteratura, che ha portato a conseguenze catastrofiche, è quella del caso dello Space Shuttle Challenger (1986). La NASA appaltò a Mortan Thiokol la progettazione e la produzione di un componente (il Solid Rocket Booster, SRB) dello Space Shuttle. Tale componente aveva già mostrato in passato delle criticità. Alla mattina del lancio, prevedendo temperature piuttosto basse, la NASA chiese a Thiokol parere sulla fattibilità o meno del lancio. Nonostante parere discordante della azienda produttrice, la NASA decise per operare il lancio. Un processo decisionale che, alla lettura delle carte delle indgini effettuate successivamente dimostrarono gli elmenti tipici del groupthinking quali, appunto, l’illusione di invulnerabilità (non si erano mai verificati incidenti mortali in volo, tale da indurre i manager della NASA a considerarsi come un gruppo speciale) , assunzione di stereotipi su soggetti esterni (atteggiamento di superiorità dei manager NASA nei confronti di quelli della Thiokol), illusione di unanimità (i manager NASA perpetuarono l’illusione che tutti erano d’accordo, non considerando i dubbi avanzati dai manager Thiokol); pressione sui dissenzienti (appunto, quella dei manager NASA su quelli della Thiokol), etc.

Ovviamente trattasi di un caso limite e tragico ma che ben evidenzia come si sviluppa il fenomento del groupthinking, che innesca un meccanismo perverso nel processo decisionale tale da portare a decisioni superficiali, anche quando possono avere impatti sulla vita di essere umani. E’ importante quindi comprendere quando si può manifestare e, eventualmente quali possibili contromisure intraprendere.

Iniziamo con il  cercare di rispondere al primo quesito. I rischi del group thinking si manifestano più facilmente in determinate situazioni quali:

  1. Quando il gruppo è relativamente nuovo: in tal caso si verifica una insufficiente “sicurezza psicologica” dovuta alla mancanza di una credenza condivisa nel gruppo che ci si trova in un ambiente sicuro per prendere rischi interpersonali;
  2. Quando il gruppo è molto “vecchio” e coeso le persone pensano nello stesso modo, sono troppo omogenei ;
  3. Differenze di status molto elevate tra i membri del gruppo;
  4.  Leadership non efficace

Ogni talvolta che si manifesti (o che si abbia il dubbio che possa verificarsi) un fenomento di groupthinking si possono adottare tutta una serie di accorgimenti che possono evitarne, o almeno limitarne, gli effetti negativi. Per far ciò è possibile agire su diversi piani/fattori:

  1. a livello dell’organizzazione: è opportuno far conoscere i pericoli legati al groupthinking e fornire strumenti per riconoscerlo quanso si manifesta. Si può inoltre sottoporre stesso problema a più gruppi per raccgolier più punti di vista differenti;
  2. a livello del gruppo: incoraggiare valutazioni critiche delle proposte o delle idee stimolando la molteplicità di prospettive tipica del gruppo. A tal fine potrebbe essere utile anche invitare elementi esterni nella fase di verifica e revision oppure affidare a qulche partecipante il ruolo di “avvocato del diavolo“. Da qui emerge l’importanza che può avere il leader del gruppo (vedi poi);
  3. a livello del singolo individuo: cercare informazioni e opinioni anche all’esterno del gruppo, descrivere sia gli aspetti positivi che quelli negativi di ogni proposta. Prima di prendere decisione valutare attentamente tutte le alternative.

 

L’IMPORTANZA DEL LEADER NEL GRUPPO

Come si concilia l’autorità/leadership con il processo di decisione di gruppo? Serve un leader/capo? Cosa dovrebbe fare?  In altre parole, come si deve «mischiare» l’uso di autorità con l’uso del gruppo? (le due logiche di coordinamento)  In termini generali, occorre separare l’uso di autorità sul processo (il metodo) dall’uso di autorità sul merito (i contenuti). Infatti il leader può, e deve, agire solo sul metodo (non andando ad intaccare i contenuti):

  1. Facendo attenzione alle scelte di composizione del gruppo cercando di bilanciare il giusto equlibrio tra eterogeneità e omogeneità;
  2. Gestendo il tempo in modo da evitare che qualcuno monopolizzi la discussion;
  3. Reiterando o parafrasando idee in modo che ciascuna idea venga adeguatamente valutata;
  4. Evidenziando i punti di incertezza per focalizzare l’attenzione sulla necessità di far emergere informazioni non (ancora) condivise;
  5. Incoraggiando punti di vista alternativi per sviluppare la diversità delle idee e per depolarizzare il gruppo (ade es. attraverso tecniche di role playing);
  6. Riducendo la pressione sociale (ad es. attraverso tecniche di brainstorming);
  7. Aumentando il coinvolgimento delle persone nella definizione del problema incrementando, così anche i vantaggi motivazionali;
  8. Promuovendo la avalutatività e indipendenza nella generazione di alternative cercando di evitare la valutazione delle persone per focalizzarsi sulla valutazione delle idee e riducendo l’interdipendenza nella fase di generazione di opzioni, per favorire la creatività (ad. esempio creando sottogruppi o utilizzando tecniche di brainstorming);
  9. Evitando che la propria presenza (e le differenze di status) producano effetti di groupthink. E’ fondamentale quindi che non intervenga mai.

Anche qui, per evidenziare l’importanza del ruolo del leader possiamo ricorrere ad un altro aneddoto storico, ed in particolare alla Crisi dei missili cubani.

La CIA, nell’ottobre del 1962 mostrò all’allora president degli Stati Uniti,  John F. Kennedy, foto satellitari di basi missilistiche sovietiche in fase di costruzione a Cuba in grado di colpire le città americane.  Kennedy formò un gruppo di lavoro (chiamato Ex-Comm) che si riunì numerose volte nei 12 giorni successivi per decidere il da farsi.  Gran parte delle persone di Ex-Comm pensavano all’inizio che gli USA dovessere attaccare e distruggere le basi. Kennedy non frequentò tutte le riunioni: voleva evitare di influenzare il giudizio del gruppo (né voleva favorire la diffusione della notizia presso la stampa). L’allora segretario della difesa, Robert  McNamara, propose una soluzione alternativa: un blocco navale per impedire ai cargo sovietici di arrivare a Cuba.  La CIA continuò ad acquisire altre immagini, e stimò che i missili avrebbero potuto uccidere 80 milioni di americani

Il gruppo sembrò propenso al blocco navale, ma Kennedy non ritenne le loro analisi e argomentazioni convincenti, e li obbligò a continaure il lavoro di dialogo e riflessione. Il gruppo di lavoro  Ex-Comm si divise in due sottogruppi. Ognuno produsse un report di analisi a supporto di ciascuna delle due opzioni  Ognuno dei sottogruppi si scambiò informazioni, e si sforzarono di trovare punti deboli dell’opzione altrui.

Durante le discussioni, non furono usati meccanismi formali di gestione della discussione (chairman, protocolli, procedure o altro). Robert Kennedy e Ted Sorensen volutamente giocarono il ruolo di avvocato del diavolo per entrambe le opzioni. Infine, i due gruppi incontrarono il presidente, il quale ascoltò, pose domande inquisitorie, e infine decise per il blocco navale

Nell’esempio emergono molti degli aspetti postitivi precedentemente analizzati: l’attenzione alle opzioni multiple, la suddivisione in sottogruppi per favorire varietà ed evitare polarizzazione, la ricerca di informazioni esterne, la sospensione dei protocolli, etc.

CONCLUSIONI

In conclusione, il processo decisione di gruppo presenta diversi vantaggi rispetto a quello individuale. Ma a tali vantaggi controbilanciano rischi e limiti che possono vanificarne tali  benefici. E’ dunque necessario intraprendere particolari accorgimenti e contromisure per cercare di limitare il più possibile gli effetti deviant (es. groupthinking).

Infatti, in un contesto lavorativo come quello odierno dove elevate complessità e incertezza sono all’ordine del giorno, l’impiego di gruppi decisionali appare una scelta irrinunciabile. Un gruppo, soprattutto se ben guidato, è in grado di affrontare e risolvere delle problematiche che per difficoltà ed ampiezza, esulano dalla capacità della maggior parte di individui. Non dobbiamo inoltre dimenticare che il processo decisionale del gruppo risulta, per precisione, accettazione e creatività, più efficace di quello individuale.

Il tutto però senza dimenticare che il lavoro di gruppo implica costi (es. maggiori tempistiche per la decisione) e rischi gestionali che devono essere valutati e gestiti in funzione delle reali esigenze dell’organizzazione.

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