In questi mesi il nostro tessuto aziendale ha dovuto sperimentare direttamente le caratteristiche del così detto sistema VUCA, così come coniato per la prima volta nel 1987 da Warren Bennis e Burt Nanus.
Con tale termine, acronimo di Volatility, Uncertainity, Complixity e Ambiguity, i due economisti hanno descritto condizioni e situazioni in cui si trovano quotidianamente molte aziende che operano in settori particolarmente competitivi.
A seguito dell’emergenza COVID-19, praticamente tutte le organizzazioni hanno dovuto (e dovranno, vedi articolo Corriere della Sera) affrontare una situazione di così elevata incertezza e mutevolezza.
Il risultato è che si sono sperimentati nuovi strumenti e modelli organizzativi. Ma non sempre con buoni risultati. Basti prendere ad esempio l’utilizzo dello smart working. Tale modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, volto a favorire al massimo la flessibilità organizzativa del lavoratore, ha notevoli vantaggi. Tuttavia, complice anche l’imposizione forzata dettata dall’emergenza, i risultati non sembrano essere ottimali. Il lavoro da remoto è divenuto il semplice svolgimento dello stesso lavoro, nelle stese modalità, e negli stessi orari (se non superiori) in un ambiente diverso: la propria abitazione. E dopo l’entusiasmo iniziale sono emersi i primi malcontenti da parte degli stessi lavoratori.