Come gestire il premio di risultato

A seguito dell’approvazione della Legge di bilancio 2016 è stata reintrodotta l’agevolazione fiscale sul premio di risultato corrisposto dal datore di lavoro sulla base di un accordo collettivo aziendale o territoriale. Tale beneficio consiste in una meccanismo di tassazione agevolata per le somme ricevute dal dipendente, prevedendo un’aliquota sostitutiva IRPEF pari al 10%.

Trattasi invece di novità, la previsione della normativa che consente ai lavoratori di scegliere se ricevere il premio in denaro o in benefit.

Quindi il dipendente che riceve un premio di risultato si trova difronte ad una duplice scelta: applicare o no l’imposta sostitutiva del 10%? E se l’azienda prevede un pacchetto welfare aziendale, meglio il premio in somme di denaro detassato o sotto forma di benefit?

Innanzitutto c’è da rilevare che per i redditi più bassi, la tassazione ordinaria, unitamente al riconoscimento di detrazioni di imposta, potrebbe assicurare al lavoratore un trattamento fiscale più favorevole dell’imposta sostitutiva al 10%.

Inoltre, qualora vi sia la possibilità di mutare il Premio di Risultato in benefit, si avrà un regime fiscale ancor più agevolato (vedi qui). Ma affinché questo possa avvenire vi devono essere il rispetto di alcuni requisiti e limiti della normativa quali:

  • La fungibilità tra componente monetaria e servizi deve essere prevista dai contratti aziendali e territoriali. Non è quindi possibile che una delle due parti del rapporto di lavorativo possano decidere in tal senso. E’ necessaria una contrattazione aziendale di secondo livello che preveda espressamente la facoltà di convertire i premi in benefit indicati ai commi 2, 3 e 4 dell’articolo 51 del TUIR;
  • Il premio di risultato può essere riconsociuto solo a chi ha un reddito di lavoro dipendente non superiore a 80.000 €;
  • L’importo massimo che può beneficiare dell’agevolazione (e quindi essere tramutato in benefit) è di 3.000 € all’anno. Il limite sale a 4.000 € nel caso in cui l’azienda coinvolga in modo paritetico i dipendenti nell’organizzazione del lavoro. In quest’ultimo caso, il legislatore ha previsto l’unica agevolazione, in ambito di premio di risultto, per il datore di lavoro: uno sconto sulla contribuziona a suo carico sui primi 800 € di premio (vale però solo per i contratti sottoscritti dopo il 24 aprile 2017 oppure modificati successivamente a tale data);

Qualora vengano rispettate queste condizioni, il dipendente potrà decidere come “incassare” il suo premio. Ovviamente la scelta di mutare il premio in benefit è la più vantaggiosa. Seppure nasconda uno svantaggio dilazionato nel tempo: una minore contribuzione ai fini pensionistici.

In altre parole, se è vero che il dipendente che scelga la riscossione in benefit avrà un incremento del potere di acquisto in quanto l’importo spendibile è esattamente corrispondente al premio, d’altro canto, però, non costituendo imponibile contributivo il dipendente non verserà nulla nella sua posizione contributiva ai fini pensionistici.

Ma a quanto ammonterebbe tale perdita? Ci possono essere soluzioni per limitare tale svantaggio?

Il regime fiscale agevolato dei premi di risultato introdotto dalla legge208/2015 non esonera datore di lavoro e lavoratore al versamento della normale contribuzione INPS. Il premio che verrà versato sotto forma monetaria ai dipendenti non consentirà al datore alcun risparmio sul proprio costo di lavoro, mentre aumenterà il potere di acquisto dei lavoratori che vedranno applicato un prelievo fiscale con aliquota del 10% senza l’intervento di addizionali reginali e comunali.

Quindi, le trattenute contributive sul premio, nel massimo del valore detassabile di 3.000 €, andranno ad alimentare sia la retribuzione pensionabile utilizzata dal sistema retributivo, sia, soprattutto, la quota calcolata col metodo contributivo che, per effetto dell’articolo 24, comma 2 della legge 214/2011, è applicato a tutti gli assicurati dal 2012.

Andiamo ora a vedere l’impatto in termini pensionistici delle due scelte:

  • Il dipendente decide di lasciare il premio di risultato sotto forma monetaria: Un premio di 3mila euro consentirà un aumento minimo della pensione di vecchiaia al momento della decorrenza (applicando il coefficiente di trasformazione attualmente in vigore per un pensionato di 67 anni) di 56,43 euro lordi annui a fronte di una spesa contributiva datoriale superiore a 880 €. Nel caso in cui il datore siglasse un contratto collettivo di secondo livello che preveda, oltre il premio di risultato, anche il coinvolgimento pritetico dei lavoratori, su una “porzione” del premio pari a un massimo di 800 € sarebbe applicata la riduzione del carico contriutivo ex articolo 1, comma 189, legge 208/2015. Se il premio complessivo rimanesse di 3.000 €, a fronte di una riduzione del costo contributivo della società al 18%, il corrispondente aumento della quota contributiva della pensione a 67 anni scenderebbe a 43 €
  • Il dipendente sceglie di tramutare il premio di risultato in benefit: Se l’accordo aziendale prevedesse la possibilità di convertireil valore monetario del premio detassabile in uno dei fringe benefits completamente esenti elencati dall’articolo 51 commi 2 e 3 (ultimo periodo) del TUIR a fronte del totale risparmio fiscale del dipendente e contributivo sia del dipendente che per l’impresa, ci sarebbe l’azzeramento della modesta quota di contribuzione utile ai fini pensionistici vista nel punto precedente.

La seconda opzione non sembra quindi avere particolari impatti negativi sul futuro importo della pensione. Certo è che l’impatto potrebbe essere ben più consistente con il passare degli anni. Se infatti il premio di risultato si ripete più volte nel corso della lunga carriera lavorativa del dipendente si inizierebbe a parlare di somme ben più consistenti.

E quindi? Vi è la possibilità di limitare tale svantaggio in termini pensionistici?

Rispetto a un tipo di scelta che privilegi il maggiore potere di acquisto immediato o un futuro aumento della prestazione pensionistica va rilevato come il legislatore abbia incentivato la conversione dei premi in alcune forme “nobili” di welfare come la previdenza complementare (comma 184 bis). Il lavoratore scelga di convertire il proprio premio in contributo alle forme pensionistiche comeplementari beneficierà, oltre dell’esezione fiscale sula prestazione erogativa da parte del fondo prevista per la totalità degli aderenti, anche la completa deducibilità fiscale di tale contribuzione, ma anche oltre ai limiti ordinariamente fissati in 5.164,57 € per anno d’imposta.

In tal modo il dipendente si potrà ritrovare con un duplice vantaggio:

  • Attuale: limitare la perdita di potere di acquisto attuale (il premio è destinato alla forma pensionistica complementare) grazie all’incremento dell’importo di deducibilità fiscale andrà a ridurre il carico fiscale annuo del dipendente (la deducibilità passerà dai 5.164,57 € agli 8.164,57 €. Per i lavoratori di prima occupazione, successiva al 1° gennaio 2007 per la deducibilità sarà ancora maggiore);
  • Futuro: una posizione pensionistica complementare più consistente che andrà a compensare (e se con buoni rendimenti, più che compensare) la perdita registrata sulla posizione pensionistica obbligatoria del dipendente. Oltretutto la prestazione pensionistica del fondo pensione complementare sarà soggetta a tassazione agevolata incrementando ulteriormente il potere di acquisto futuro dell’ex dipendente.

Concludendo, quindi, il lavoratore che sia destinatario di un premio di risultato convertibile in benefit, dovrà ponderare attentamente la sua scelta. Infatti, la conversione del premio in benefit è vero che massimizza il potere di acquisto attuale del lavoratore ma, contemporaneamente, nasconde un costo future in termini pensionistici. La contromisura per limitare tale aspetto negativo potrebbe essere la trasformazione del premio di risultato in forme di pensione complementare. In tal caso, infatti, il dipendente vedrà ridurre la sua disponibilità finanziaria attuale (in parte compensata con la deducibilità) ma andando a consolidare un investimento finanziario che potrà ampiamente ripagarlo in futuro.

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